Cultura dello stupro
La cultura dello stupro costituisce un retroterra culturale in base al quale la violenza è percepita come sexy e la sessualità come violenta, per cui si vede l’uomo come predatore e la donna come una preda sessuale.
Origine del termine Rape Culture
L’origine del termine Rape Culture è incerta. La prima definizione viene attribuita al premiato documentario Rape Culture di Margaret Lazarus che esamina la relazione tra le fantasie sessuali statunitensi e la rappresentazione dello stupro nei film, nella musica e in altre forme d’intrattenimento.
Nel 1993, Fletcher, Buchwals e Roth diedero una definizione più estesa nel libro Transforming a rape culture: “complesso di credenze che incoraggia l’aggressività sessuale maschile e sostiene la violenza contro le donne e che normalizza il terrorismo fisico ed emotivo contro le donne”. In realtà, l’espressione è molto ampia perché fa riferimento al continuum di violenza minacciata che spazia dai commenti sessuali alle molestie fisiche fino allo stupro stesso.
Si manifesta attraverso l’uso di un linguaggio misogino, l’oggettivazione sessuale dei corpi femminili e la normalizzazione della violenza. Il che è estremamente allarmante, considerando i dati statistici relativi alla violenza di genere (1 donna su 3 subisce una qualche forma di violenza sessuale durante la sua vita).
Rape Culture e fenomeno del victim blaming
La cultura dello stupro appare intrinsecamente collegata al fenomeno del victim blaming, essendone il retroterra socioculturale. La donna che denuncia deve spesso andare incontro ad un processo di vittimizzazione secondaria, sia all’interno del sistema giudiziario che tende a contestare le vittime di stupro, sia all’interno della cornice mediatica, che veicola rappresentazioni irrealistiche dello stupratore e dell’ipotetica vittima. Per meglio approfondire ciò possiamo partire dall’analisi dei media.
Questi, infatti tendono a rappresentare lo stupro come commesso solo da uomini malati (bestie impazzite, sessualmente frustrate che attaccano donne indifese) e soprattutto come sconosciuti, quando in realtà il 73% delle aggressioni è commesso dal partner o da un amico della vittima.
Ciò è dannoso perché insinua la credenza che l’uomo della porta accanto non potrebbe mai violentare qualcuno. I media tendono a ritrarre in modo fuorviante anche le vittime di violenza sessuale, descrivendole come bugiarde, ipersessuali ed egoiste.
Così vengono forniti consigli alle donne su come evitare lo stupro che implicano una responsabilità personale delle donne, vittime di violenza, in quanto non sufficientemente preparate a scongiurare una possibile aggressione sessuale. Inoltre, tale rappresentazione propone una dicotomia tra brave e cattive ragazze: le prime, quelle pudiche e seguenti le regole antistupro; le seconde quelle che non seguono le linee guida che la cultura dello stupro ha scelto per loro.
Facilità di comportamenti violenti
È importante anche sottolineare, come, a differenza di quanto sostenuto dalla rape culture, lo stupro non è motivato dalla ricerca del mero piacere sessuale, ma dalla cornice patriarcale che facilita l’uso di comportamenti violenti contro le donne al fine di esercitare il potere maschile e imporre il controllo su loro.
D’altra parte, gran parte dell’incapacità del sistema giudiziario di gestire efficacemente i casi di stupro risiede nel sospetto della vittima e delle sue motivazioni, sostenute dall’influenza dei media che diffondo scorrette rappresentazioni dello stupro e alimentano falsi pregiudizi. È come se la vittima fosse sotto processo per aver accusato l’autore dello stupro, piuttosto che l’autore stesso per aver commesso l’atto di violenza sessuale.
Difatti, le condanne che gli stupratori ricevono spesso non riflettono la gravità dei loro crimini, ma in molti casi sono il risultato di patteggiamenti che ignorano la sofferenza delle vittime. Alcune donne vengono anche costrette a sottoporsi forzatamente a valutazioni di salute mentale, non per il trattamento del trauma, ma come mezzo per analizzare la veridicità della denuncia (nonostante solo il 2-8% delle denunce sono false).
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