L’abuso emotivo prevede l’utilizzo sistematico di comportamenti in grado di dominare la sfera affettiva e di influire negativamente sulle emozioni e sull’autostima, privando il bambino delle cure e della protezione di cui necessita. In particolare, i genitori, anziché offrire vicinanza ed empatia, negano i bisogni affettivi e invadono gli spazi psicologici e fisici del figlio: si parla di “traumi nascosti” qualora si creino condizioni invisibili di trascuratezza.
Goldberg ha analizzato le tendenze autoaggressive precoci, soprattutto delle bambine, ipotizzando che fossero una reazione alla manipolazione psicologica messa in atto dai genitori; quest’azione manipolativa è esercitata in tre tempi: viene provocata la rabbia, frustrando le richieste d’ascolto; viene poi bloccata l’espressione dell’ostilità, paralizzando qualsiasi forma di protesta emotiva; viene favorito lo spostamento dell’ira dai genitori al proprio corpo.
Il focus del problema è quindi la cosiddetta “invalidazione emotiva”, poiché chi subisce abuso percepisce la propria condizione psicologica come minimizzata e di conseguenza si abitua a percepire sempre meno i propri bisogni fisici; il corpo diventa il luogo scenico dell’abuso emotivo e la diafanizzazione anoressica diviene strategia per la sopravvivenza.
Terr divide le esperienze traumatiche in:
- Traumi di tipo I, causati da eventi circoscritti e inaspettati, quali ad esempio i disastri ambientali
- Traumi di tipo II, ossia abusi fisici, sessuali emotivi prolungati nel tempo: c’è un primo episodio inaspettato, a cui seguono diversi altri episodi che creano una predisposizione mentale che mobilita tentativi di preservare la mente con strategie di coping quali negazione, rimozione o dissociazione; la reazione fisica è definita freezing, che prevede il distacco dal comportamento di attacco/fuga e può indurre perfino amnesie dissociative rispetto agli eventi traumatici. Il freezing è controllato dal circuito dorsovagale del SNA (come teorizzato dalla teoria polivagale di Porges) e l’immobilizzazione è legata alla perdita del senso di controllo e ad ottundimento mentale; inoltre, rallentano le risposte muscolare e scheletriche, con riduzione dell’apporto di ossigeno. La riattivazione del sistema simpatico, inoltre, è difficile, perciò il sistema nervoso di una bimba che subisce un trauma emotivo rimane intrappolato nello stato continuo di allerta dorsovagale, come se il pericolo fosse sempre imminente.
In tempi recenti è emerso come l’abuso infantile sia spesso correlato alla comparsa di DA (Disturbi Alimentari), poiché i maltrattamenti innescano una cascata di risposte allo stress, alterando l’organizzazione del cervello, ad esempio riducendo il volume dell’ippocampo sinistro, generando un difetto nella codifica e nell’immagazzinamento di informazioni spaziali, temporali e semantiche della memoria esplicita. Può anche determinarsi una vera e propria dissociazione somatoforme, cioè una disgregazione della memoria e dell’identità corporea; la tendenza autodistruttiva mediante restrizione alimentare può essere diagnosticata non solo come DCA, ma anche come precoce DTS (Disturbo Traumatico dello Sviluppo).
L’assetto psicologico del figlio è influenzato dall’organizzazione psichica dei genitori, tanto che la qualità delle interazioni che il bambino ha vissuto da piccolo si riflette nelle modalità di investimento sul corpo: l’abuso emotivo preclude l’instaurarsi della fiducia rispetto alla coppia parentale e rispetto al corpo. La ragazza anoressica teme metaforicamente di essere inghiottita (e quindi non inghiotte); per difendersi, l’unica soluzione è il freezing, in quanto questa passività può proteggere nei contesti di abuso fisico e psicologico. Inoltre l’anoressia tende ad essere recidivante, anche una volta che ci si distacca dalla famiglia, perché i conflitti rimangono a livello latente e, poiché il trauma originale è interpersonale, è probabile che permanga e si ripeta anche nei nuovi contesti relazionali, in particolare nella scelta di partner disfunzionali (come il narcisista, anch’esso spesso vittima di abuso emotivo o neglect).
Nel caso di traumi gravi, gli individui devono necessariamente ricercare soluzioni estreme di adattamento; si compongono di una soluzione alloplastica, che modifica le condizioni esterne, e di una soluzione autoplastica, che modifica il soggetto stesso (dissociazione o autodistruzione). Secondo Ferenczi, le parti dissociate sono proiettate su una figura immaginaria di nome Orpha, che soccorre i bambini abusati, sostituendo la morte con la follia, che diventa la soluzione alternativa conservativa. L’abuso psicologico è quello che più incide sulla capacità di mentalizzazione; per interrompere le azioni distruttive delle anoressiche, è necessario che imparino ad accettare gli impulsi ostili originariamente indirizzati verso i genitori.
Il Trauma Recovery Model di J Herman prevede tre fasi: inizialmente, bisogna stabilire una condizione di sicurezza, superando la neurocezione alternata sviluppata dalla paziente anoressica, che le fa possedere una percezione inappropriata dell’ambiente, che la fa sentire sempre in pericolo. Attraverso il “limited reparenting” il terapeuta cerca di contrastare l’influenza negativa dello stile genitoriale, sfruttando il contratto oculare mancato in infanzia; inoltre, il training autogeno ed esercizi di respirazione possono essere molto utili per imparare a sintonizzarsi con i propri vissuto somatici e le emozioni collegate, percependo così diversamente il bisogno di nutrimento.
Dopodichè è necessario concentrarsi sul ricordo e l’elaborazione del trauma, facendo attenzione alla possibile comparsa di trigger (che risollevano il ricordo traumatico) o pensieri intrusivi; bisogna fare attenzione ad un meccanismo di difesa chiamato “identificazione con l’esclusore”, tramite il quale la paziente trasferisce i propri vissuti di inadeguatezza sul terapeuta, in modo da impedire l’accesso al trauma. Possono essere utili qui due approcci: la Schema Therapy, che permette l’analisi di schemi maladattivi precoci, generalmente di abbandono, deprivazione, dipendenza e sottomissione, che attivano credenze disfunzionali che ostacolano la vita quotidiana; tali schemi vanno corretti e resi più adeguati, portando alla luce le memorie d’abuso ricostruendo il trauma: utile in questo senso la tecnica di esposizione “imagery rescripting”. L’altro approccio è quello della Enactive Trauma Therapy, secondo il quale le persone sottoposte a maltrattamenti infantili generano tre sottosistemi dissociativi prototipici denominate “parti”: parte apparentemente normale, parte emotiva fragile, parte emotiva controllante; paziente e terapeuta sono due sistemi organismo-ambiente che devono co-creare un mondo comune, per poter superare la dissociazione somatoforme; di prediligono le tecniche ipnotiche per guidare la paziente verso l’integrazione e la simbolizzazione degli episodi traumatici, accompagnata dal terapeuta, definito Testimone tollerante, con calore empatico. L’ultima fase è quella di riconnessione: la paziente deve riconciliarsi con se stessa, imparando a provare sentimenti positivi rispetto alla propria cura, raggiungendo una nuova intimità con il proprio Sé.