Spesso si inizia un percorso terapeutico per la difficoltà a gestire un’emozione specifica e per le conseguenze di tale difficoltà nell’ambito delle relazioni interpersonali; le emozioni hanno la funzione di conoscere e di aiutarci ad interagire con la realtà: ci segnalano che c’è stato un cambiamento nella realtà interna o esterna che per noi è rilevante.
All’emozione si accompagna una valutazione cognitiva dello stimolo emotigeno, che, con attivazione fisiologica e corporea, serve a prepararci alla risposta comportamentale.
La competenza emotiva è la capacità di percepire e riconoscere le emozioni, di discriminare tra di esse, di nominarle e dare loro un nome; implica l’apprendimento di metacognizione, autoriflessività, capacità sociale di riconoscere le emozioni altrui e abilità di regolare la manifestazione delle nostre; una scarsa competenza emotiva rende difficoltoso gestire lo stress e le situazioni difficili. Per poterla sviluppare, sono fondamentali le esperienze precoci dell’infanzia, mediate dai caregiver, e fondamentale è un ambiente che validi la nostra esperienza emotiva, positiva o negativa che sia.
Quando ciò non accade, in psicologia clinica si parla di alessitimia e disregolazione emotiva; l’alessitimia è la difficoltà ad identificare i sentimenti propri e altrui e a descrivere le emozioni, oltre ad essere caratterizzata da una scarsa capacità immaginativa e dalla tendenza a somatizzare le emozioni. La disregolazione emotiva invece descrive una difficoltà di autoregolazione degli stati interni e della loro adeguata espressione; sono presenti deficit che impediscono di utilizzare in maniera flessibile strategie di modulazione di intensità e durata dell’esperienza emotiva.
Quando l’ambiente è invalidante, il bambino non impara a regolare gli stati emotivi né a tollerare emozioni negative, impiegando strategie di evitamento e di mancata accettazione; la disregolazione emotiva è anche legata alla tendenza ad agire e ad uno scarso controllo degli impulsi. Campbel-Sills e Barlow (2007) suggeriscono che le persone con problemi di ansia e depressione impieghino strategie di regolazione fallimentari, che accentuano l’intensità e la frequenza delle emozioni indesiderate, oltre che l’intensità e la persistenza di umore in negativo; in particolare, si osservano scarsa conoscenza delle emozioni, tendenza a reagire negativamente e difficoltà nel recupero dalle emozioni negative. Anche nei disturbi di personalità si rileva una difficoltà a regolare le emozioni, soprattutto nel cluster B e nel disturbo borderline di personalità, caratterizzati da: eccesso di esperienze emozionali avversive, incapacità di regolare l’arousal, difficoltà a distogliere l’attenzione dallo stimolo emozionale, distorsioni cognitive, impulsività soprattutto in momento emotivamente salienti, difficoltà a coordinare le attività mirate al raggiungimento di un obiettivo quando il loro umore è attivato e la tendenza a dissociarsi in condizioni di forte stress.
Per quanto riguarda le relazioni con gli altri, è importante citare il sistema dell’attaccamento, ossia il comportamento che motiva al bambino a cercare la vicinanza fisica dei genitori quando prova paura, sofferenza o dolore emotivo; è un meccanismo innato e regola la modalità adulta di gestione delle emozioni. In base alla relazione con la madre, è possibile sviluppare diversi tipi di attaccamento: sicuro, insicuro evitante, insicuro ansioso-ambivalente, disorientato/disorganizzato; la qualità delle relazioni di attaccamento condiziona il modo in cui si regolano le emozioni, le capacità sociali e lo sviluppo della metacognizione. Nel primo anno di vita il bambino elabora informazioni sulle concrete risposte della figura di attaccamento alle richieste di vicinanza e cura, creando un modello che poi generalizza come schema dell’altro; al contempo, le reazioni del bambino stesso alle risposte del caregiver creano un modello di sé. Quindi, dalle memorie delle nostre relazioni reali con le figure di attaccamento vengono costruiti lo schema di sé e dell’altro, con aspettative generalizzate a tutte le relazioni interpersonali; questi schemi interpersonali operano come griglie interpretative che, nei contesti interpersonali, orientano il nostro comportamento, permettendoci di supporre come gli altri si relazioneranno a noi e come pensiamo di essere. Un attaccamento sicuro è utile per costruire uno stato mentale “libero”, con capacità cognitive e metacognitive, una serena espressione di tutte le emozioni e una diminuzione della possibilità di incorrere in equivoci comunicativi nelle situazioni non verbali complesse; ne deriva un sistema cognitivo flessibile.
Gli schemi interpersonali sviluppatisi da stili di attaccamento insicuro, benchè utili durante l’infanzia, divengono limitativi nella vita relazionale adulta: infatti, il sistema cognitivo-affettivo sarà più probabilmente povero e rigido, o al contrario lasso e non integrato, così da costruire cicli interpersonali disfunzionali. Infatti, gli schemi rigidi comporteranno l’esclusione delle informazioni non concordanti con le aspettative e si preferiranno tipologie di relazioni che confermeranno i nostri schemi: ecco i cicli interpersonali che agiscono da rinforzo. Questi schemi interpersonali, oltre a influenzare le nostre rappresentazioni, creano aspettative anche sulle emozioni: chi ha schemi rigidi avrà difficoltà ad esprimere i bisogni coerentemente con il contesto (cura, accudimento,..) e avrà una modalità disadattiva attraverso cui richiedere la soddisfazione di questi bisogni. Esempio: schema di sé vulnerabile per scarso accudimento durante lo stress; in situazioni stressanti, non esprime la richiesta di aiuto efficacemente, soprattutto dal punto di vista emotivo, esprimendosi con rabbia e generando nell’altro un distanziamento o un abbandono, che conferma la rappresentazione dell’altro come cattivo.
La disregolazione emotiva è associata a tassi maggiori di aggressività psicologica tra i partner, poiché la modalità aggressiva è spesso impiegata in momenti di turbamento; inoltre, le persone sono più propense a sperimentare tale disregolazione qualora abbiano un attaccamento insicuro, con una visione di sé non degna di amore e degli altri come emotivamente non disponibili. Cheche (2017) ha indagato l’associazione tra disregolazione emotiva e attaccamento insicuro e come la disregolazione sia mediatrice tra l’attaccamento insicuro e l’aggressività psicologica nelle coppie; esaminando 110 coppie, lo studio ha rilevato che la disregolazione emotiva non spiega il rapporto tra attaccamento insicuro e aggressione psicologica. Per gli autori questo fu un risultato sorprendente: ipotizzano quindi che l’attaccamento insicuro possa predire altri comportamenti disadattivi nei rapporti, ad esempio critiche o ostruzionismo vero il partner.
I soggetti con attaccamento ansioso potrebbero non mettere in atto l’aggressività in quanto potrebbe creare troppa distanza dal partner, mentre quelli con attaccamento evitante tendono probabilmente ad isolarsi dal partner quando sono angosciati, invece di divenire aggressivi. È anche vero, però, che un attaccamento ansioso elevato è associato con l’iperattivazione del sistema di attacco verso il partner, che viene controllato o obbligato rabbiosamente a fornire una risposta, portandolo a rispondere con un’aggressione psicologica; l’attaccamento evitante invece potrebbero provocare conflitto col partner in risposta alla loro modalità di disattivazione delle situazioni emotivamente stressanti.
In conclusione, sarebbe necessaria un’indagine ulteriore di queste variabili e della loro connessione, anche perché, anche in questa ricerca, sono stati osservati i cicli interpersonali ripetitivi e disfunzionali; è importante ricordare che non incontriamo “sempre le persone sbagliate”, ma che alcune nostre modalità relazionali nei contesti interpersonali possono favorire risposte negative da parte dell’altro.