Gli studi sulla morte perinatale e sul lutto correlato si sono per lo più concentrate sulle ripercussioni sulla coppia genitoriale, senza considerare l’impatto sugli operatori sanitari, nonostante essi ricoprano una difficile posizione, a metà tra lo strazio dei genitori e le reazioni emotive personali, comunque difficili da gestire.
Infatti, i vissuti degli operatori sanitari riguardano l’inadeguatezza, la rabbia, lo sgomento, la tristezza, l’impotenza e il senso di colpa, quasi fosse colpa della loro inadeguatezza professionale; questo anche perché a volte possono essere i genitori stessi ad accusare gli operatori, manifestando ostilità e aggressività.
Alcune reazioni mirate a proteggersi da un coinvolgimento emotivo eccessivo riguardano l’evitamento dei genitori, l’anestetizzarsi di fronte alle emozioni, il proteggersi dietro un linguaggio tecnico o addirittura l’allontanamento, temporaneo o definitivo, dal reparto; a livello di rischio psicopatologico, si riscontrano spesso sintomi psicosomatici, post-traumatici, ansiosi e depressivi, con un elevato rischio di burnout, ossia depersonalizzazione, irritabilità e assenteismo. E’ stata svolta una ricerca esplorativa (Gandino, Anfossi, Vanni, Loera, 2014) su 485 operatori sanitari dei reparti di Ginecologia e Ostetricia piemontesi e sui loro vissuti riguardo la morte perinatale: tale esperienza ha risultato avere un forte impatto emotivo, provocando vissuti di angoscia e tristezza, ma anche compassione e solidarietà per i genitori; per i medici la parte più gravosa riguarda la comunicazione del decesso, per ostetriche e infermiere la gestione dell’incontro con il bambino ed il contatto con il dolore dei genitori. Va inoltre considerato che gli psicologi, cui spetterebbe l’accoglienza e l’accompagnamento emotivo, sono presenti solamente negli ospedali più grandi. Tutto il personale sente la necessità di una maggiore formazione specifica, con condivisione in équipe e supervisione clinica.
Riguardo al burnout, nei riparti di maternità esaurimento emotivo e depersonalizzazione risultano molto al di sotto dei valori medi, mentre la relazione professionale riporta valori più elevati; nonostante ciò, i segnali del burnout crescono all’aumentare di esperienze di morte perinatale. Questo è comprensibile: il personale ospedaliero dovrebbe riconoscere la perdita ed interagire con la coppia in modo empatico, ma ciò è molto gravoso, dovendo continuare a fornire pratiche cliniche e dovendosi quindi porre a “giusta distanza” dalla situazione.
La letteratura e questa ricerca sono quindi concordi nel sottolineare come la capacità di gestire i vissuti dolorosi della morte perinatale senza però sviluppare sindrome di burnout sia legata alla possibilità di avere spazi di condivisione delle proprie emozioni e incontri di supervisione clinica. La psicologia clinica può quindi intervenire per sostenere il benessere degli operatori sanitari.