I disturbi del comportamento alimentare (DCA) rappresentano una categoria diagnostica molto diffusa, che può interessare ogni fascia d’età, senza differenze di genere; in Italia ogni anno colpiscono 8500 persone (dati della Società Italiana dei Disturbi del Comportamento Alimentare).
I fattori di rischio e l’eziologia sono multifattoriali e ciò, unitamente alla tendenza dei pazienti a negare il problema e alla presenza di modelli estetici che ne facilitano la dissimulazione, ha reso necessario trattamenti complessi.
E’ stata proposta una concettualizzazione dei disturbi del comportamento alimentare come sottocategoria delle dipendenze, dati alcuni pattern comportamentale comuni; mancano però i criteri di tolleranza e sindrome da sospensione. Inoltre, va specificato che non è la sostanza – il cibo – a scatenare la compulsione, bensì il controllo dell’astinenza da essa.
Gli interventi sull’addiction sono poco risolutivi; più utili interventi multimodali che considerino tutti i fattori: in ambito di psicoterapia cognitivo-comportamentale di terza generazione, l’obiettivo è trasformare la consapevolezza dei propri vissuti interni, lavorando sulla funzione degli eventi psicologici problematici, per ottenere un indebolimento delle catene causali che portano all’evitamento e ai pattern comportamentali disfunzionali.
Durante la pandemia, la restrizione sociale ha un effetto importante sulla salute mentale: possono elicitarsi rabbia, paura, PTSD; nei pazienti con DCA il tema centrale del controllo è amplificato dalla paura dell’infezione e si amplificano anche i fattori di innesco del disturbo: sospensione dell’attività fisica, convivenza forzata con la famiglia, maggiori scorte alimentari.
L’isolamento sociale rischia infine di proseguire anche dopo la pandemia e di riguardare anche il ritiro dai trattamenti, già spesso sospesi causa covid-19.
Un grosso rischio riguarda anche l’emergere di quadri di comorbilità (depressione, disturbi d’ansia, dipendenze, PTSD): a fine preventivo, sono stati istituiti diversi numeri di emergenza per riconoscere i segnali prodromici e richiedere un intervento tempestivo.
I clinici, capaci valutazioni prospettiche, devono porre attenzione al mantenimento del rapporto terapeutico pur rispettando il distanziamento sociale, proponendo alternative efficaci.
Presumibilmente, nel prossimo futuro sarà necessario porre attenzione alla fascia d’età degli adolescenti, messa a grosso rischio dalla situazione.